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31 ottobre 2008

Giorni rossi




Si usano sempre le stesse parole
quando scende il silenzio nel cuore.
Sono lente, salate. segnano il viso, lo trasfigurano.
Non si dimenticano più i nomi.
Ho atteso per troppo tempo una bugia per piangere
prima di scendere i gradini di questa scala
che porta alla disperazione;
il mio tempo presto finirà e tornerò a casa,
tra quelle stanze piene di sorrisi e risate.
Ho voglia di un silenzio che non dica nulla,
di una nenia per dormire, acqua che lavi via il tuo odore.
Non ho potuto scegliere nemmeno l'orizzonte;
solo il tonfo della solitudine dentro al giorno.

27 ottobre 2008

Senza titolo

Entri in auto. Un saluto, una carezza, infili un cd dei Talking Heads, sorridi e mi dici: "Ti piacciono? Li conosci vero". Ascolto cinque secondi e ti rispondo: "A clean break. I Talking Heads!" Arriva un bacio.

Penso a come accadono le cose, con che velocità ti portino lontano dal passato.
Non sono ancora abituato al tuo nome, ma mi arriva sulle labbra da solo, senza cercarlo. E mi parli di continuo, non smetti mai. Sai cosa dire al mio cuore, senza pensare alla notte che verrà. La musica va avanti, ci accompagna in un altro bacio.

Poi mi guardi, mi prendi la mano e sussurri:
- "Fermati... non si può fare l'amore guidando."

25 ottobre 2008

La finestra sul mare.



Segui i miei gesti nell'aria,
lo spazio è scritto dai tuoi passi.
Cosa cerchi nel baule dei ricordi?
Ho solo frenetiche mani, parole usate,
foto ingiallite, qualche promessa dimenticata,
l'ultimo nome che ho dato all'amore,
e un cimitero di sogni.
Ma tu sai sorridere di tutto,
anche della mia nuova canzone.
Ho comprato una finestra sul mare,
per parlare con te nei giorni di pioggia,
ti ho lasciato entrare dalla porta del silenzio
e mi hai chiesto di pensare a domani.
Scegli un nome per te.

24 ottobre 2008

Poetatio vomitandi (cum laude deterioribus)

Assolutistica e parzializzabile
l'emancipazione idiomatica
e idiometrica della sequela
e della allitterazione
nonché della consecutio temporum,
si ammandrappano,
svelandosi nella dominante crominabile
e nella parzializzazione parallela,
come rimbrotto unisettico.
Come disse Winnicott Winthrop:
Non separiamo la paritetica protomia dalla esegetica silloge della sinossi!

23 ottobre 2008

Collimazione emozionale ( non sublimata)


Aggregando le displasiche massificazioni,

conglobiamo le riconducibili dismorfie

e limitiamo sessioni asfittiche

anche se mai ellittiche.

Compresi in osmotiche compressioni,

flettiamo pragmatismi oculati,

in acetaboli svuotati,

posponendo assolute

vestibolazioni ,

che tu non trovi deprecabili.

Quali ragioni apporre

nella posposta notte

dei gargoil assonnati?

Enunciami

nelle tue presentabili scuse,

coincidendo con la presenza

erinnica.


(In memoria di Winnicott Winthrop, onanista convulsivo, coprofago benemerito dell'università del Minnesota e del Minnesopra. R.i.p.)

22 ottobre 2008

Nemmeno il tempo



Non hai chiesto permesso
e sei dentro a un nuovo giorno,
tra un pensiero e una promessa,
coi tuoi occhi prepotenti che mi guardano dentro.
Nemmeno il tempo per piangere
e son volato via con te.
Forse i silenzi non mi bastavano più
e le tue parole sono la verità.
Nemmeno il tempo per pensare a ieri
e mi hai regalato il tuo nome.
Forse le notti sono troppo brevi
e confondono le ombre.
Nemmeno il tempo per dimenticare
e sei accanto a me.

21 ottobre 2008

L'ultima voce della notte


Dove porterò tutta la mia tristezza
quando sarà sbiadito il ricordo?
Troppe immagini peseranno sui tuoi occhi
per lasciare di me qualche colore,
troppi suoni urleranno dentro alle tue orecchie
per riconoscere la mia voce che ti chiama.
Ma non andrai mai più via
perché nessuno va via dal cuore.
Scriverò sui muri le mie poesie,
dove tu sei ancora lì che mi sorridi
e mi chiedi un'altra vita,
un altro sogno.
Forse mi basterà morire.

17 ottobre 2008

I domani venduti


Non ho il tempo per amare il vuoto;


ho solo bisogno di muovere le prospettive del mio silenzio.

Sussurravi i sorrisi e li scambiavo per abitudine,

morivi tra i miei pensieri

e non mi sono accorto che potevo dargli un nome,

uno qualunque,

un nome che assomigliasse ad amore.

Ma non ho più tempo per girarmi indietro

e sperare di vederti arrivare con un bacio

nascosto sulle labbra.

Non occorre mai troppo tempo per amare ;

esistono i domani che tu puoi solo inventare

ma che hai venduto al dolore.

16 ottobre 2008

Il libro dei nomi

Non devo più raccontarti nulla di me.
Sai tutto quello che devi.
E' che sono così pieno di vuoto quando non ci sei.
Non saprei dirti nemmeno chi sono;
nessun specchio riflette più la verità
e ogni giorno sarei pronto per partire.
Eppure i segni del passato li conosco,
li ho dentro al libro dei nomi, dove dorme la gioia,
dove la dedica è scritta con l'ultimo sguardo.
Non abbiamo avuto nemmeno un posto per piangere.
C'era il sole, una stazione e un nome da chiamare
ma hai scelto ancora tu.
Sono quello sbagliato,
impossibile,
da dimenticare in un fine settimana qualunque,
tra le candele di un compleanno.

14 ottobre 2008

Nessun nome


Lasciano il segno,
tagliano il viso,
sono lacrime di ghiaccio
che non hanno il coraggio di scendere.
Non ho più nessun nome se tu non mi chiami.
Il silenzio che taglia
lascia il segno,
tra un un secondo e una vita.
So inventare i tuoi domani.
Fuggi da te,
da un amore che fa troppa paura
ma che non muore mai.
Cento gocce di passione
sono il gusto del veleno,
puro e nero come la notte che avvolge
una nuova vita.
Freme,
suona la catena
che mi chiude dentro
la solita musica vuota.

12 ottobre 2008

PASSATEMPI

Le incontri,

le conosci,

ti regalano emozioni e pensieri nuovi

e credi sia la realtà.

Le persone che giocano.

Hanno bisogno di te,

dei tuoi rimproveri,

delle tue certezze,

dei tuoi errori ,

del tuo corpo,

delle tue idee,

della tua straordinarietà,

del tuo modo speciale di essere.

Poi l'abitudine.

Poi il deja vu.

Poi l'aver conosciuto.

Poi tutto

diventa cosa comune,

ordinaria, banale e conosciuta.

Le persone che usano le parole,

per usare te.

La noia che affligge chi gioca

e non si appassiona.

Passatempo.

Parcheggiami qui,

pago io.

Grazie del tuo sorriso.

Raccontami ancora

le tue bugie,

ho voglia di sentire la tua voce,

raccontami di te.

Straordinariamente inutile.

Cercavo solo un posto sicuro

dove ridere di me.

Parcheggiami dove ti pare.

Pago io.

10 ottobre 2008

Spalle al muro

Appoggiato al muro aspettavo la sera, laggiù, in quel vicolo che conduce al mare. Sono rimasto con i pensieri e la schiena attaccati a quel vecchio muro di pietra cercando di capire tutto quello che mi avevi detto. Potevo solo tacere, leggere tra le pieghe della tua bocca che vomitava l'inferno e la disperazione. Restavo fermo davanti a te mentre mi chiedevi di ruggire ancora, come il mare quel giorno.
Non sappiamo nemmeno quale forza abbia tenuto il nostro cuore in pugno affinché smettesse di battere più forte; la tua era forse solo rabbia, forse stanchezza.
Avrei lasciato le mie mani andare sul tuo corpo per ritrovare ancora il tuo seno. Ma rimanevo lì immobile e guardavo le tue mani che si trasformavano in mazze ferrate e mi colpivano forte sul petto; poi il pianto rallentava come i tuoi colpi, fino a spegnersi tra i singhiozzi. Mi facevano più male le tue lacrime che ogni colpo ricevuto.

Stavo lì, con le spalle al muro, mentre sparivi dietro l’angolo lasciando solo la scia del nostro tempo.

Non trovavo la forza di andarmene, di lasciare anche quell’ultimo posto dove sapevo avresti potuto trovarmi. Forse gli occhi si bagnarono per la pioggia, ma venne la notte a nascondere la mia fuga.

Ritorno ancora qui per cercare il suono di un perché. Forse coglierò il giorno nel quale anche tu avrai bisogno di risposte e ti vedrò accarezzare quel muro nudo e pietoso che ha accolto la mia pena.

Sai amore mio, io non sono mai andato via da quel muro: quando si muore non si va più via da nessun posto.

09 ottobre 2008

Centocinquanta passi


Anche quando sarò rimasto solo,
dentro al buio totale, sommerso da verità nascoste,
con la bocca cucita dalle responsabilità,
anche allora avrò voglia di cercare qualcuno
che sappia leggere sotto le parole.
E lo sai, non alzerò il dito per indicare chi è cieco, chi è sordo, chi è muto.
Mi siederò ed aspetterò.
Le attese portano più lontano di qualunque fuga,
ed in ogni caso lasciano il tempo per respirare
e riconoscere gli occhi del predestinato.
Ho contato i passi per arrivare alla solitudine, pochi ancora.
Centocinquanta passi per arrivare al mare:
lì ho nascosto le mie parole,
confuse tra i tuoi dubbi e i tuoi sogni,
dove una donna antica
ti ha trovata bambina
e ti ha parlato dell'amore.



05 ottobre 2008

L'anima del carnefice


Nelle avenidas i cingoli dei carri armati avevano lasciato le stesse cicatrici che avevano i martiri sulla pelle. Segni profondi, palpabili, pronti alla vendetta.

Incontrare i boia per strada non era cosa rara, anzi, incontrare chi aveva ucciso il tuo futuro era cosa comune.

Nel dehor di un cafè, quell'uomo dagli occhi azzurri come il mare, racchiusi in piccole fessure sopra un viso bonario, quasi gentile, le mani lunghe e affusolate come quelle di un pianista o di un chirurgo, dai gesti misurati e precisi, mi aspettava. Quelle mani che prendevano un bicchiere di Cabernet Sauvignon cileno e lo portavano alle labbra con solenne lentezza, con la consapevolezza di quello che sarebbe stato il gusto al palato, il sentirne gli aromi e le fragranze.

Un uomo così, che sapeva dare un valore alle cose terrene, che sapeva apprezzare a fondo le cose buone della vita, si apprestava a raccontarmi quello che era stato il suo “impiego” negli anni passati, con la tranquillità di chi racconta le sue vacanze estive a Vigna del Mar.
Otto ore di lavoro sulla carne di persone per lui senza nome, senza età, senza sesso, senza volto, senza storia. Pezzi di carne da fare urlare, da sfinire, da rendere morbida, da piegare.

Si godeva il sole mentre raccontava senza enfasi e accanimento la sua storia. Guardavo la sua bocca e ad ogni parola sembrava uscissero pezzi di carne, sangue, urla.
E gli sovvenne il nome di uno degli ospiti del garage, così chiamava il suo posto di lavoro, perché lo aveva “incontrato” il giorno del compleanno di uno dei suoi bambini. Ne aveva tre, e così quel giorno, prima di prendere servizio gli aveva comprato uno di quei giochi di costruzioni a mattoncini colorati e mi disse che lui non voleva che i suoi figli giocassero con le solite armi giocattolo perché erano diseducative, insegnavano la violenza.
Il racconto si dipanava in modo fluido, senza interruzioni, con dovizia di particolari e senza mai crogiolarsi nel compiacimento.
Gli domandai perché mai raccontasse queste cose a me e perché si fidasse di me.
Sorrise con quei suoi denti disordinati ma bianchissimi e si avvicino così vicino al mio viso che potei sentire il suo alito che sapeva di vino e mi disse : “Non lo so. Certe cose si fanno e basta.”
Poi si rimise rilassato sulla sedia e aggiunse che forse aveva scelto me perché ero straniero o forse perché i poeti hanno sublimato la morte nelle poesia e lì trovano le loro risposte alla vita. Un carnefice invece è condannato a cercare le sue risposte dentro agli altri.
Aveva una teoria secondo la quale un boia cerca nella vittima predestinata il senso della vita e che solo guardando in faccia la disperazione di chi muore si riesca a capire quale sia l’essenza di un uomo. Rimasi immobile ad ascoltare quello che mi sembrava un delirio di onnipotenza. Poi dalla tasca tirò fuori un malloppo di carte tenute insieme da un grosso elastico e me lo consegno in mano.
Mi disse che era il suo testamento e che avrei potuto leggerlo appena si fosse alzato da quella sedia.
Impercettibilmente il suo viso si fece più rilassato, quasi sereno. Mando giù l’ultimo sorso del suo cabernet, lasciò una banconota sotto il bicchiere, mi fece un sorriso e senza dire nulla se ne andò. Mi alzai anche io, con quel malloppo di carte in mano e con un senso di dolore e nausea profondi. Presi la sua stessa direzione, mescolato tra la folla del mezzogiorno nell’Avenida Central, e non potei fare a meno di seguirlo per un po’ di tempo ancora. Non ricordo per quanto tempo, ma ad un certo punto, prima di infilarsi in un vicolo laterale, si fermò e voltandosi, da lontano mi sorrise:. Poi sparì dietro l’angolo.

Il suo “testamento” non lasciava nulla a nessuno, non confessava nessun delitto, non raccontava nessuna storia, non chiedeva nessun perdono. Era solo la raccolta manoscritta di centinaia di poesie; poesie di straordinaria bellezza, scritte da un’anima eletta e pura. Poesie d’amore e di vita.

Passai ore a leggerle dimenticando quale mano avesse mai scritto quei pezzi di carta, e quale anima li avesse concepiti.

Nell’ultima pagina di quel “testamento” trovai scritta la frase: “La ricerca è finita. La morte ha liberato il poeta. Ora il poeta libererà la morte”.
Pensai alle due anime che avevano vissuto in quell’uomo specularmente, in un inspiegabile simbiosi, in un tragico e armonico conflitto interiore.
L’orrore scese dentro al mio cuore.
Il fuoco fece giustizia di tanta inutile bellezza, di tanta terribile purezza.

Tutte quelle straordinarie poesie portavano la data a piè di pagina e tutte erano state scritte negli ultimi due anni prima della sua morte in quel vicolo, con un colpo di pistola alla nuca.

Capita a volte


Capita a volte di pensare che la felicità ti sia passata accanto senza riuscire a dirle nulla. E così lei se ne va' via, lasciandoti con le mani vuote e l'amaro in bocca, senza più girarsi indietro..
Capita a volte che tu ti renda conto di essere rimasto indietro nella vita, senza la tua felicità.
E allora pensi sia giunto il momento di rinunciare alla felicità e di sognare, il momento di rendersi conto che il sogno e la vita sono forse la stessa cosa ma che dalla vita non ti potrai mai più risvegliare.
Capita a volte che in quel lungo sogno qualcuno dimentichi chi sei, staccando il passato dal suo cuore e dalla sua mente come croste di intonaco da un vecchio muro. E sei polvere nel vento.
Capita a volte.
E allora a che serve amare ancora?

03 ottobre 2008

Ogni mattina


Sento le cose addosso, come se piovesse.
Disturbano la vita, modificano il mio essere, cambiano il mio pensiero, rendono diverso il destino.
Incontro persone che non riesco a capire: le accetto come se fossero il vento, come se fossero il dolore.
Vorrei dormire con accanto il tuo amore, potendo sognare di toccare il tuo seno, accarezzando il tuo desiderio. Ho avuto un amore per ogni mese, un dolore per ogni notte.
Ho mani così taglienti da non poter più stringere le tue, ho gli occhi cosi infuocati da non poterti più vedere nemmeno nelle lacrime.
Ogni mattina ritorna il dolore, così lento da sembrare un bacio, così freddo da uccidere il mio giorno.
Guardavi la mia mano, sentivi il mare dentro alla mia voce; dovevo andare senza dire più nulla, rinnegando il mio amore.
Era l'ultimo momento di verità.